samedi 21 novembre 2009
Il Moltiplicatore Dell'Etica
Il “moltiplicatore” etico della tecnologia
Alberto De Benedictis
Il rapporto che intercorre tra la persona e l’azienda per cui lavora va ben oltre i particolari contenuti dell’attività svolta. Nell’agire dell’impresa vi sono obiettivi morali che sono pressoché assoluti, a priori, e che devono essere
connessi non all’interesse proprio, ma piuttosto devono essere riconducibili al quadro più ampio di una comunità: produrre un benessere reale che, poi, è un valore ulteriore rispetto alla semplice ricchezza
economico-finanziaria; si tratta di uno sviluppo socio-culturale complessivo della comunità. Gli obiettivi morali che si pone l’impresa sono più universali che non particolari. L’azienda innovativa, oltre a generare ricchezza misurabile, produce anche una forma di ricchezza intangibile; l’innovazione, infatti, è
certamente il propulsore primario dello sviluppo della civiltà e dell’individuo. La tecnologia può offrire certamente anche opportunità che possono poi essere utilizzate per fini non morali, e proprio per questo occorre ben valutare l’impatto dell’innovazione sui valori etico-sociali, ma questo è un rischio da cui non si può
sfuggire, pur mantenendosi al tempo stesso vigili e attenti.
A proposito dell’attuale crisi dell’informatica, occorre dire che il fenomeno necessita di una maggiore distanza critica: quando si introducono diffusamente strumenti che offrono in maniera improvvisa, assolutamente gratuita e pervasiva, la capacità di liberare creatività individuali, è evidente che si possono manifestare degli eccessi. Credo che in una prospettiva storica le valenze positive si riveleranno complessivamente ben maggiori dei costi che la società ha dovuto subire nel recente passato.
La ricchezza reale che si è distrutta è relativamente poca rispetto a quella gonfiata delle quotazioni azionarie, e, probabilmente, la ricchezza vera che si è creata, cioè la capacità di sprigionare risorse nuove, è stata molto
maggiore di quella che è poi andata distrutta. Il sistema economico ha indubbiamente goduto di un periodo di sviluppo senza precedenti, e ritengo che il saldo finale non possa che essere considerato positivo.
La regolamentazione di Internet è questione molto dibattuta in cui si conduce una vera e propria battaglia per la libertà e la democrazia; il rischio è che ogni forma di controllo possa rappresentare un passo indietro sul versante della libertà di parola e di comunicazione, come accade ancora in Cina, dove si tenta di limitare
l’accesso libero a Internet.
Ritengo eticamente sbagliato, e oltretutto tecnicamente vano, tentare di porre dei vincoli e dei limiti alla comunicazione informatica. È evidente che vanno evitate situazioni di palese monopolio informativo, ma la
regolamentazione deve comunque rispettare le fondamentali garanzie di libertà di espressione delle democrazie
occidentali.
Non credo sia la velocità dello sviluppo tecnologico a consentire che possano proliferare comportamenti negativi, ma piuttosto la caratteristica di sistema aperto della comunicazione Internet.
“Rallentando” la velocità dello sviluppo non si eliminano questi rischi. La velocità permette di trasferire ovunque una comunicazione pressoché in tempo reale. Le idee si possono perciò comunicare direttamente senza essere
intermediate da terzi, evitandone perciò travisamenti e filtri di ogni tipo. Pensiamo, per esempio, agli eventi cinesi di piazza Tienanmen: senza l’uso del fax (non c’era ancora Internet), la circolazione planetaria delle notizie non sarebbe avvenuta. La comunicazione ai tempi di Internet rende sempre più difficile il controllo autoritario dell’informazione.
Numerosi problemi imputati all’informatica dipendono invece dall’ignoranza o dalla malafede degli utilizzatori, perciò è più opportuno educare gli utilizzatori alla tecnologia, piuttosto che prevenire gli abusi riducendone a priori le potenzialità di impiego.
La “Legge di Moore” descrive icasticamente come l’evoluzione dell’informatica non segua una progressione “aritmetica”, ma addirittura “geometrica”. Tutto questo indubbiamente spaventa molti, perché l’esponenzialità dello sviluppo è estranea ai parametri di conoscenza umana.
D’altro canto, arrestare questa logica iperbolica significherebbe colpire il cuore dell’intelligenza e della creatività
umana. Si tratta dunque di recepire l’innovazione, questa continua ambizione al cambiamento, nel rispetto del contesto democratico che ci ispira.
La società vive spesso la frustrazione di dover recepire passivamente le mutazioni tecnologiche come imposte, senza sentirsi artefice del progresso, ma è ingenuo sostenere che viviamo in un sistema verticalizzato dove sono pianificati e controllati modi e tempi di diffusione della tecnologia. Democrazia e innovazione tecnologica sono due aspetti di un unico movimento di progresso, reciprocamente dipendenti l’uno dall’altro: occorre meno controllo, ma più informazione e condivisione di valori.
La sicurezza rappresenta un pilastro imprescindibile del sistema di scambi e transazioni attraverso Internet. Allo stato attuale l’informatica è in grado di fornire una garanzia “statica”, cioè in ogni dato momento noi siamo in
grado di assicurare che il sistema sia sicuro. Il problema si presenta in una situazione dinamica, in cui i sistemi di sicurezza, per quanto sofisticati, possono essere vittime di accessi e intrusioni non autorizzate. L’obiettivo
che come azienda ci siamo posti consiste nel ridurre gli ingressi non autorizzati a un numero tollerabile, e ridurre i danni conseguenti a un livello tale da mantenere una percezione di fiducia nel sistema presso la
generalità degli utenti.
La privacy è un diritto da difendere con forza nella società moderna, soprattutto garantendo standard internazionali di tutela riconosciuti e riconoscibili. Come garantire che questo si realizzi in un contesto aperto come quello informatico? È un tema altamente prioritario, specialmente per aziende ed enti che operano
avvalendosi di complessi sistemi informatici; questo riguarda non solo l’ambiente aziendale, ma investe tutte le applicazioni informatiche dell’amministrazione pubblica, dove i dati scambiati sono così sensibili che possono caratterizzare in maniera inequivocabile individui e gruppi di individui, permettendone una puntuale
identificazione. Il legislatore sancisce regole precise che interpretiamo imponendo vincoli molto restrittivi ai sistemi che realizziamo.
Occorre, inoltre, ampliare la sfera di tutela con regole deontologiche cui il sistema deve referenziarsi. Per esempio, qualora l’accesso esterno fosse reso necessario dal sistema per applicazioni diverse, noi imponiamo che il sistema informi l’utente. Quando l’utente è al corrente di dove e come l’informazione può essere utilizzata, allora può autonomamente decidere se concederla o meno. Ciò rappresenta una delle più alte garanzie di trasparenza e protezione della privacy che come aziende informatiche abbiamo il dovere giuridico ed etico di assicurare.
Quanto alla sicurezza, il costo etico si manifesta più in un sistema aperto che in uno chiuso, perché in un sistema aperto l’illiceità trova una diffusione molto più alta. In un sistema chiuso dove è più semplice garantire un livello di sicurezza adeguato, in funzione non solo di chi disegna il sistema, ma anche di chi ne fa uso, è più semplice creare regole di comportamento che si impongono in automatico, rispettando norme di sicurezza tali da non creare costi etici.
Il ruolo dei comportamenti individuali è sicuramente determinante, e come azienda ci sforziamo di offrire gli strumenti necessari a operare le scelte migliori, contemperandoli con tutte le tutele necessarie a garantire che
queste non comportino un costo etico. A proposito della standardizzazione che l’informatica sembra promuovere, mi sembra che a oggi l’effetto sia opposto, cioè vengono offerte più opzioni alternative di quante ce ne fossero in un sistema più chiuso.
A fronte della praticità e dell’economia della standardizzazione vanno comunque mantenuti margini di discrezione che devono essere frutto di scelte non irrevocabili: la standardizzazione non deve sopravvenire in
modo inflessibile, ma solo nel caso in cui se ne ricavino vantaggi e semplificazioni operative.
Come la storia industriale e sociale dell’informatica insegna, standardizzazione e diffusione vanno di pari passo.
Ma l’esperienza del settore insegna che specialmente in questo campo, sicuramente ad alta potenzialità di standardizzazione, l’individualità ha frequente occasione di manifestarsi nella declinazione soggettiva dell’impiego di quello strumento che, non a caso, è chiamato “personal” computer.
Al fine di evitare forme di boicottaggio da parte di hackers, Internet è costantemente monitorato nel suo traffico
nei “nodi” critici di comunicazione.
Agli inizi degli anni Novanta, un hacker, operante dall’università di Helsinki in
Finlandia, cercò di provocare una sorta di black-out informatico della rete mondiale, introducendo nel sistema
un virus particolarmente pernicioso. Per controllare il contagio nella rete internazionale la Finlandia subì una sorta di “embargo informatico”, una quarantena imposta dai gestori della rete per costringere le autorità del paese a prendere sul serio la minaccia e procedere contro il malintenzionato. Solamente dopo l’arresto
dell’hacker, la Finlandia fu “riaccesa”.
Un intervento come l’embargo, nel caso specifico, ha efficacemente risolto il problema, ma solleva il dubbio che questo potere possa essere esercitato per fini arbitrari. È il successo di Internet che ne fa una risorsa di pubblica utilità, richiamando l’attenzione del legislatore. Questi, nel ricercare la protezione dell’utente, rischia di imporre regole che ne limitano le stesse ragioni che ne hanno alimentato la diffusione.
Paradossalmente l’informatica, nata per semplificare i problemi e per ottimizzare le soluzioni, ha messo a disposizione dell’individuo una massa così imponente di dati e di informazioni, da impegnarlo più di prima.
Ciò dipende in parte dalla natura stessa dell’uomo che è un animale curioso: se gli si offre la possibilità di aprire
un maggior numero di finestre sul mondo, non può che approfittarne. Il problema che ne consegue è quanto tale più ampio accesso limiti o addirittura paralizzi la capacità di pensiero dell’uomo. Su questo si danno opinioni discordanti. Io tendo ad avere una visione positiva: a mio parere l’esposizione all’informazione migliora
la qualità del pensiero.
L’informatica rappresenta un acceleratore di sviluppo; i paesi che la sanno governare in modo appropriato manifestano un grado di crescita più accelerato, e ne è la dimostrazione lo straordinario aumento di ricchezza raggiunto da paesi fino a poco tempo fa poco sviluppati e che grazie all’informatica hanno saputo cogliere una occasione insperata di riavvicinamento ai paesi già industrializzati.
A questo proposito esistono due “scuole di pensiero”. Secondo la prima, un paese che si impone più elevati tassi di crescita deve utilizzare la tecnologia e l’informatica come irrinunciabile strumento di sviluppo.
Gli esempi più significativi e che esprimono al meglio le potenzialità dell’informatica sono dati dallo straordinario sviluppo di paesi dell’Estremo Oriente come l’India e la Corea. Purtroppo per molti altri paesi, in particolare
quelli del continente africano, dove non si riesce a innescare un processo di sviluppo tecnologico, si assiste a un fenomeno inverso, di depauperamento, acuito proprio dalla capacità evolutiva di altre aree in via di sviluppo,che ne accrescono il divario.
Si assiste così al diffondersi di una sorta di “sindrome” di coloro che sono lasciati
indietro.
La seconda “scuola di pensiero” sostiene che occorrerebbe ridurre il divario tra paesi ad alto e a basso tasso di inclusione tecnologica allo scopo di evitare di giungere a un punto di irreversibile frattura tra mondi a differenti potenziali tecnologici e di crescita.
Si dovrebbe, quindi, prendere atto di questa situazione e intervenire selettivamente specialmente nei paesi che non hanno capacità proprie per avviare il circolo virtuoso dello sviluppo. Spetta all’informatica un ruolo di attiva partecipazione e non di mera reazione ai problemi dello sviluppo, proprio in relazione alle sue caratteristiche di tecnologia flessibile e veicolo di comunicazione, e dunque
intrinsecamente votato alla trasparenza e non all’occultamento dei problemi.
L’informatica sta offrendo alla società l’accesso, quasi illimitato, all’informazione allo stesso tempo globale e locale, uno strumento che permette alla società civile di interagire con lo Stato e, quindi, permettere al cittadino di poter essere protagonista nelle scelte.
Tutto questo ha senza dubbio una valenza etica molto profonda: un processo di empowerment dell’individuo, con l’effetto di moltiplicare l’efficacia del sistema, imponendo grande consapevolezza e responsabilità non solo per chi crea, ma specialmente per chi utilizza, la tecnologia.
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1 commentaire:
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